Legambiente e Libera: “Subito regole per tutelare il territorio. Adeguare i canoni e puntare sul riciclo degli inerti per creare lavoro e nuove aziende della green economy”
In Piemonte dai canoni di concessione potrebbero arrivare 33,5 milioni di euro
Enormi crateri come ferite aperte sul territorio costellano i paesaggi italiani. Da Nord a Sud le cave attive in Italia sono 5.592, quelle dismesse e monitorate addirittura 16.045. Nonostante la crisi del settore edilizio abbia contribuito a ridurre le quantità dei materiali lapidei estratti, i numeri rimangono comunque impressionanti: un miliardo di euro di ricavo, 80 milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 31,6 milioni di metri cubi di calcare e oltre 8,6 milioni di metri cubi di pietre ornamentali estratti nel 2012. Sono questi alcuni numeri raccolti nel Rapporto cave 2014 di Legambiente, presentato a Novara nel corso di una conferenza che ha visto la partecipazione di Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, e Mattia Anzaldi, referente di Libera per la provincia di Novara. L’incontro è stata l’occasione sia per fare il punto sulla situazione piemontese, sia per ragionare su alcune proposte per ridurre l’impatto ambientale dell’attività estrattiva.
Occorre promuovere una profonda innovazione nel settore –hanno dichiarato Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, e Matteo Concina, presidente del circolo di Legambiente Novara– attraverso regole di tutela efficaci e canoni come quelli in vigore in altri Paesi Europei che permettano, al tempo stesso, di ridurre la quantità di materiali estratti e di dare impulso al riutilizzo dei rifiuti inerti provenienti dalle demolizioni edili. Sia la normativa nazionale che quella regionale sono state formulate in una prospettiva sviluppista che immaginava la domanda di inerti in crescita costante, le risorse abbondanti e le criticità ambientali scarse. Questo approccio non ha consentito di affrontare, con un’attenta pianificazione e una conversione all’efficienza, la crisi economica e il conseguente crollo della domanda.
Prelevare e vendere materie prime del territorio è un’attività altamente redditizia eppure i canoni di concessione pagati da chi cava sono ridicoli: in media appena il 3,5% del prezzo di vendita degli inerti. A livello nazionale i canoni pagati per sabbia e ghiaia arrivano infatti nel 2012 a 34,5 milioni di euro, mentre il ricavato annuo dei cavatori risulta pari a un miliardo di euro. Il Piemonte, dove il canone richiesto non arriva nemmeno ad un decimo del prezzo di vendita finale, è ai primi posti, insieme con Lazio, Lombardia e Puglia, per l’estrazione di sabbia e ghiaia con quasi 11 milioni di metri cubi di inerti cavati nel 2012. Le cave attive nella regione sono 473, di cui 70 solo a Bagnolo Piemonte, e si contano 224 cave dismesse o abbandonate.
Il territorio piemontese si inserisce inoltre tra le aree con maggiori quantitativi di pietre ornamentali estratte (868.642 metri cubi) per via di zone dove la qualità delle pietre cavate ha una fama mondiale, basti pensare alla pietra di Luserna. A fronte di questi ingenti prelievi le entrate dovute al canone richiesto (0,49 euro/m3 per sabbia e ghiaia, 0,81 euro/m3 per le pietre ornamentali) non arrivano nemmeno ad un decimo del prezzo di vendita dei materiali, mentre restano molto rilevanti gli impatti sul territorio.
In un periodo di tagli alla spesa pubblica –hanno sottolineato i rappresentanti di Legambiente e Libera– è inaccettabile che un settore tanto rilevante da un punto di vista economico e ambientale venga completamente trascurato dalla politica. Le normative in vigore dovrebbero essere riformate tenendo conto dell’innovazione tecnologica che, anche nel settore dell’edilizia, permette di porre un freno alle nuove escavazioni, favorendo il riutilizzo dei materiali e creando nuove imprese e lavoro nell’ambito della green economy.
Raggiungere questi obiettivi in tempi brevi, secondo le due associazioni, è possibile, e per questo chiedono di rafforzare la tutela del territorio e la legalità (attraverso controlli, individuazione delle aree da escludere e delle modalità di escavazione, obbligo di valutazione di impatto ambientale, ecc.); di aumentare i canoni di concessione per equilibrare i guadagni pubblici e privati e tutelare il paesaggio; spingere l’utilizzo di materiali riciclati nell’industria delle costruzioni, per andare nella direzione prevista dalle Direttive Europee e riuscire così ad aumentare il numero degli occupati e risparmiare la trasformazione di altri paesaggi.
Se la Regione Piemonte applicasse i canoni in vigore in Gran Bretagna (la tariffa più alta in Europa) le entrate regionali per la sola estrazione di sabbia e ghiaia si attesterebbero intorno ai 33,5 milioni di euro a fronte dei 5 milioni di euro di oggi. Una delle proposte di Legambiente e Libera è quindi quella di prevedere canoni di concessione maggiori per il ricorso a materiali inerti e minori per chi ricorre a materiali di recupero. Inoltre, relativamente alle attività di cavazione in aree protette, le associazioni propongono che i canoni siano di almeno il 30% maggiori rispetto alle restanti aree.
Ad oggi il quadro normativo nazionale è fermo al Regio Decreto del 1927 e l’attività estrattiva in Piemonte è regolamentata dalle leggi regionali 69 del 1978 e 44 del 2000, norma, quest’ultima, che prevede l’adozione di Piani delle Attività Estrattive a livello provinciale. Pianificazione territoriale disattesa dalla maggior parte delle Province e dalla Regione che non si è mai neanche dotata di un piano di recupero ambientale delle cave dismesse o abbandonate.
Cavazione, discariche e cemento sono oltretutto i settori più infiltrati dalle ecomafie, così come denunciato da Legambiente e Libera e come confermano le numerose indagini delle Forze dell’Ordine. In Piemonte, solo nel 2012, le Forze dell’Ordine hanno accertato nel ciclo del cemento 199 infrazioni, sono state denunciate 260 persone e sono stati effettuati 15 sequestri. Il ciclo illegale del cemento nella regione è caratterizzato da una forte presenza di interessi mafiosi, come testimoniano importanti inchieste e operazioni messe in atto dalla Magistratura; una su tutte l’inchiesta Minotauro ma anche le più recenti indagini legate all’Expo 2015.
Per questo proponiamo, soprattutto a partire dal territorio dell’Ovest Ticino in vario modo coinvolto nell’attività di Expo ’15 una moratoria su scavi, movimenti di terra e riempimenti vari in attesa degli esiti delle inchieste e la riattivazione immediata del ‘Protocollo di monitoraggio’ in particolare sulle cave (siglato in Prefettura nell’aprile 2012) e una revisione delle sue funzioni, composizione e compiti –ha dichiarato Mattia Anzaldi, referente di Libera per la provincia di Novara-. Ma anche per altre aree che potrebbero essere interessate da pesanti infrastrutturazioni occorre individuare da parte degli Enti locali ulteriori procedure di controllo e verifica che diano la massima garanzia di trasparenza e correttezza, in un quadro di partecipazione condivisa.