Si investa realmente sulla mobilità sostenibile. Si riattivino le ferrovie sospese.
Stop da subito alle deroghe per gli abbruciamenti.
Sulla mobilità, nel capoluogo si è tracciato un percorso. Si vada fino in fondo con decisione e coerenza.
L’Italia ha violato il diritto dell’Unione europea sulla qualità dell’aria. I valori limite applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 sono stati infatti superati in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017 e l’Italia non ha manifestamente adottato, in tempo utile, le misure imposte. Lo ha stabilito martedì, con una sentenza, la Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata a pronunciarsi sulla procedura d’infrazione contro l’Italia per inquinamento atmosferico.
Nel 2014, con una lettera di messa in mora, Bruxelles ha constatato il continuo superamento dei limiti giornalieri (di 50 ¼g/m³) ed annuali (di 40 ¼g/m³) di concentrazione di PM10.
A fine 2018 la Commissione europea ha infatti presentato un ricorso per inadempimento alla Corte per far constatare che l’Italia è venuta meno in maniera “sistematica e continuata” agli obblighi provenienti dalla direttiva 2008/50/CE, sulla qualità dell’aria.
“Una decisione inevitabile, in linea con il trend da noi denunciato da anni”: così Legambiente commenta la pronunciazione di oggi della Corte di Giustizia Ue. Il nostro Paese è un malato cronico d’inquinamento atmosferico, cui sono riconducibili circa 60 mila morti premature ogni anno. Proprio lo scorso gennaio, nell’edizione del rapporto Mal’Aria di Città 2020, Legambiente ha tracciato un bilancio decennale del fenomeno, prendendo come riferimento i dati della sua campagna “Pm10 ti tengo d’occhio” relativi a 67 città italiane che almeno una volta sono entrate nella speciale classifica, rilevando inadempienze e sforamenti continui. In particolare, ricorda l’associazione, il 28% delle città italiane prese in esame nell’ultimo decennio ha superato i limiti giornalieri di Pm10 tutti gli anni (10 volte su 10), il 9% lo ha fatto 9 volte su 10, mentre il 12% è andato oltre 8 volte su 10. Tra le città che hanno fatto l’en-plein per numero totale di giorni d’inquinamento registrati Torino, Frosinone, Alessandria, Milano, Vicenza e Asti. Dati che evidenziano infrazioni sistematiche non più tollerabili.
“La Corte di Giustizia europea – dichiara Giorgio Prino, Presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – ha condannato l’Italia per inadempienza agli obblighi di rientro nei limiti delle norme comunitarie. Questo fatto apre la strada a possibili e ingenti sanzioni europee. Ma quello che più ci spaventa è l’impatto sanitario di tali inadempienze: centinaia di morti premature all’anno nella nostra regione (sono circa 900 nel solo capoluogo). Si investa con decisione sulla mobilità sostenibile e pubblica! Torino completi la linea 1 della metropolitana (inaugurata nel 2006 ma ancora incompleta) e realizzi in tempi ragionevoli la linea 2; investa corposamente in un miglioramento del trasporto pubblico di superficie; continui con decisione e coerenza sul percorso intrapreso relativamente alla mobilità leggera, alla ciclabilità, alla micromobilità elettrica. La Regione riattivi immediatamente le ferrovie sospese, operazione che permetterebbe di togliere dalle strade migliaia di pendolari (e dunque di auto) ogni giorno”.
Ma non è la mobilità il solo imputato per l’aumento delle polveri sottili in atmosfera: per tutti i settori che producono direttamente PM10 (traffico, combustione di biomasse per riscaldamento ed energia, abbruciamenti) sono necessarie significative riduzioni delle emissioni.
Le deroghe agli abbruciamenti nel periodo 1 novembre – 31 marzo sono quindi in completa contraddizione con tali esigenze e con la tutela della salute pubblica.
Le deroghe rischiano anche di avere effetti legali ed economici sui Comuni. “Le Amministrazioni Comunali – prosegue Giorgio Prino – corrono il rischio di andare ben oltre le proprie competenze legali autorizzando gli abbruciamenti in un periodo critico per la qualità dell’aria e riducendo quindi gravemente l’efficacia di provvedimenti ambientali e di salute pubblica di competenza regionale e nazionale”.
La possibilità di concedere deroghe prevista dalla Regione scarica infatti sui Comuni l’onere della verifica della fattibilità e della responsabilità. Inoltre, le deroghe favoriscono comportamenti assolutamente non previsti dalle norme regionali quali la combustione di residui della manutenzione di giardini e orti o l’abbruciamento in ore serali, che accrescono l’esposizione agli inquinanti della popolazione anche a carattere prettamente locale.
“I provvedimenti di deroga – conclude Giorgio Prino – corrono quindi il rischio di essere dannosi tanto alla popolazione, quanto agli Enti Comunali. E, pertanto, vanno immediatamente bloccati o revocati”.